Raúl Berón : Un grande cantor
Per i nostalgici e i conoscitori del tango che seguirono il suo stile, Raúl Berón rappresentò l’arte della sofisticatezza. Oggi il suo stile sembra praticamente scomparso. Non raggiunse la popolarità di altri cantanti, come Francisco Fiorentino, Alberto Marino, Roberto Rufino, Alberto Podestà, ma fece parte di quel filone di cantanti intelligenti, fini e attenti, che incluse Alberto Marino, Oscar Serpa, Carmen Duval, María de la Fuente e altri, che segnarono il miglior periodo del tango, tra il 40 e il 55. Forse un’unica ombra, se così si può chiamare, rilevabile nelle sue interpretazioni è che alcune volte i testi non sono comprensibili. Creazioni come “Corazón”, “Azabache” o “El vals soñador”, con l’orquestra di Miguel Caló, con il quale formò un tandem indimenticabile, sono l’esempio migliore della sua raffinata interpretazione Raúl Berón nacque il 30 marzo del 1920 a Zárate, provincia di Buenos Aires. La sua origine criolla ispirerà col tempo il suo modo di cantare. Già da piccolo si innamorò della musica grazie anche alla sua famiglia: suo padre era un chitarrista e i suoi fratelli e sorelle Adolfo, José, Elba e Rosa erano dei musicisti e cantanti molto bravi e insieme formarono un gruppo dal nome Los Porteñitos. Anche Josè fece carriera, non con la stessa popolarità del fratello. Di timbro vocale simile a Raul, non pochi inesperti lo confondono col fratello. Adolfo fu un ottimo chitarrista nel mondo del tango mentre Elba una cantante che dal 1960 al 1963 fece parte dell’orchestra di Troilo di cui si ricordano due incisioni in particolare, “A mi qué” e “Desencuentro”. Raul arrivò a Buenos Aires e si fece conoscere con la sua chitarra in varie emittenti radio che in quel periodo trasmettevano esibizioni dal vivo di artisti che con guadagni esigui si proponevano per farsi ascoltare e conoscere. Il suo stile vocale distinto, morbido e deciso richiamò l’attenzione di José Razzano, che lo trasformó immediatamente in un suo pupillo. Il destino cominciava ad essergli favorevole. Il giovane Berón era un grande ammiratore del suo amico Carlos Gardel. A 19 anni Armando Pontier lo presentò al maestro Miguel Calò che lo additò come cantante folcloristico (“Dì al tuo amico di continuare a cantare chacareras ad Achalay. Io ho bisogno di un cantor di tango e non di un folclorista”) Nonostante la sua reticenza, però, si convinse a farlo entrare nella sua orchestra che già poteva contare degli arrangiamenti di Argentino Galvan e che si arricchì successivamente di giovani talentuosi come il pianista Osmar Maderna e il violinista Enrique Francini. La coppia Caló-Berón debuttó nel Singapur di calle Montevideo tra Corrientes e Sarmiento nel 1939. La prima incisione discografica con Caló (sello Odeón) arrivò il 29 aprile 1942 con un grande successo: “Al compás del corazón” di Domingo Federico e Homero Expósito. Sul retro, “El vals soñador”. Tra i 28 tanghi che registrò con questa orchestra emergono “Entre sueños”, “Lejos de Buenos Aires”, “Tristezas de la calle Corrientes”, “Jamas retornaras”. L’incisione di “Al compás del corazón” servì a proiettare la sua carriera canora. Aveva apportato un colore unico alla orchestra di Caló. La sua voce suonava come un raffinatissimo strumento, sobrio e espressivo, che seguiva il tempo e le delicate linee degli arrangiamenti del maestro. Dopo aver lasciato Calò, nella cui formazione tornò più di una volta, si aggregò all’orchestra del pianista e compositore Lucio Demare. Con Demare incise versioni antologiche di tango come “El pescante”, “En un rincón”, “Una emoción”, “Qué solo estoy”, “Y siempre igual” e il vals “No nos veremos más”. Sebbene quest’ultimo fu scritto da Demare non fu però Beron a cantarne i tanghi più famosi come “Malena” o “Mañana zarpa un barco”. Incise comunque “Tal vez será su voz”, con testi di Homero Manzi. Questo tango originariamente si chiamava “Tal vez será mi alcohol”, ma la censura, imposta dopo il golpe militare del 4 giugno 1943, non condivise la ubriachezza del protagonista. Un’altra tappa significativa – ma in un certo modo frustrante – nella carriera di Raúl Berón fu quando si aggregò con Francini-Pontier, il binomio formato dal violinista Francini e dal bandoneonista Armando Pontier, usciti dalla orchestra di Calò e che, come il cantante, provenivano da Zárate. A questo nuovo sodalizio venne data la possibilità di inaugurare nel 1945 il Tango Bar, café con palco orchestrale che diverrà un tempio del tango. Berón registrò con questa formazione, di concezione musicale avanzata, tra il 1946 e il 1949 un totale di 13 brani come solista, e altri in duo. Tuttavia il suo repertorio fu relativamente povero, evidenziando un vivo contrasto con i brani che furono affidati alla voce di Roberto Rufino. I più interessanti della discografía di Berón con Francini-Pontier furono “Y dicen que no te quiero”, “Como tú”, “Remolino” e “Uno y uno”. Colpirono anche le brillanti incursioni di Berón nella orchestra di Anibal Troilo, probabilmente la più venerata del tango. Quella collaborazione produsse versioni ammirabili come “De vuelta al bulín” e “Ivette”, o opere nuove come “Discepolín”, commovente omaggio in vita che Troilo e Manzi offrirono a Enrique Santos Discépolo, il geniale paroliere di “Yira yira” e “Cambalache”, che morì pochi mesi dopo. In quegli anni la voce del cantante, sottoposta a un lavoro incessante per il travolgente successo di Troilo, cominciava a dare segnali di stanchezza. Ugualmente influirono sulla qualità delle sue incisioni le insoddisfacenti condizioni tecniche del “sello TK”, al quale era passato a registrare l’orchestra. Raúl Berón fu una delle migliori incarnazioni del modello gardeliano. Aveva una voce più scura di Gardel — un barítono alto, che arrivava facilmente alle estensioni da tenore—, anche se il timbro è un aspetto tra gli altri che contraddistingue uno stile vocale. Questo stile è imparentato storicamente con le voci di Francisco Fiorentino, Floreal Ruiz e Angel Cárdenas, per citare altri grandi cantanti della emblematica orchestra di Troilo. Ma Berón aveva una forma unica di cantare, un po’ sopra il tempo; nessun confronto risulterebbe più esplicativo che l’ascolto di “De vuelta al bulín” di Fiorentino e Berón con la stessa orquestra di Troilo: quella di Fiorentino è perfettamente rítmica; quella di Berón in alcuni momenti è nell’aria, sospesa. Tranne un reincontro nel 1963 con Caló, Berón non tornò ad aggregarsi a nessuna orchestra. Nello stesso periodo incise con Argentino Galván il tango “Por qué soy reo”. Ancora con Galván si occupò della programmazione tanguera di Radio Belgrano e nel 1968 incise dodici brani per l’etichetta Show Récord. Continuò come solista fino ai suoi ultimi giorni, riuscendo a mantenere sempre questa linea intima dove era più importante la ricerca del pathos che la voce imprimeva alla canzone piuttosto che l’immagine di cantante elegante e ricercato. Un ultimo omaggio postumo che Raúl ricevette, fu da parte del maestro Roberto Siri, che compose un tango a lui dedicato con testi di Martha Pizzo, meritato riconoscimento a colui che fu una grande voce del tango argentino.
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